Dall’adolescenza alla tomba, Poe visse un’esistenza tormentata – visitato da fantasmi di speranze deluse, ossessionato dalla morte nell’amore, dalla stupidità, dalla quasi follia di tanti suoi gesti, dalla vana attesa del successo, della sicurezza e della felicità. In un mondo indifferente che valutava il denaro più della poesia egli trovò sollievo unicamente nell’annientamento di se medesimo.
Così Philip Lindsay definisce Edgar Allan Poe nella sua biografia dello scrittore americano. Dalla sua descrizione emerge il ritratto di un uomo triste e allucinato, perennemente sgomento, incapace di sprazzi di allegria. Questa è, infatti, l’immagine che scaturisce dai racconti orrifici più famosi di Poe – il quasi autobiografico “William Wilson”, “The Fall of the House of Usher”, “The Pit and the Pendulum” etc.
In realtà, accanto a questi celebri racconti del terrore, in cui l’atmosfera è effettivamente tesa e allucinata, coesistono racconti meno noti, che possono essere definiti senza esitazione umoristici. Ne esamineremo sei – “The Man who was Used up”, “The Spectacles”, “Le Duc de L’Omelette”, “Bon Bon”, “X-ing a Paragraph” e “Diddling Considered as One of the Exact Sciences” – cercando di estrapolare da essi le caratteristiche principali dell’umorismo di Poe.
Poe si è interessato all’umorismo anche da un punto di vista critico. Nel 1836 recensì per il Southern Literary Messenger le Georgia Scenes di Longstreet.
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Poe=Genio a Tutto Tondo,my friends… 😉
Perbacco, ho scritto recentemente un articolo su Poe che adoro sino dai tempi della primissima adolescenza. Devo però farti i complimenti per come lo hai raccontato tu, mi ritiro umilmente nel mio cantuccio.