Nuova edizione delle poesie di Poe

Il corvo e tutte le poesie

Nuova edizione delle poesie di PoeÈ uscita, a dicembre scorso, una nuova traduzione delle poesie di Poe, pubblicata dalla casa editrice Independent Legions Publishing.

Le poesie sono state tradotte da Alessandro Manzetti (Premio Bram Stoker Award ed Elgin Award) e illustrate da Stefano Cardoselli.

Il volume, intitolato Il corvo e tutte le poesie, contiene anche 4 libere interpretazioni di poesie di Poe (“Il Verme Conquistatore”, “Il Corvo”, “Ulalume” e “Sonetto alla Scienza”) di Alessandro Manzetti e Linda D. Addison (Premio Bram Stoker Award), pubblicata per la prima volta in lingua italiana.

Foto del volume

Nuova edizione delle poesie di Poe

2 illustrazioni del libro

Alcune poesie presenti nel libro

Ulalume Reloaded

(Libera Interpretazione di Alessandro Manzetti di ‘Ulalume’)

I cieli erano di fango, specchi perfetti

Della terra sotto i miei piedi, molle.

Che si mostrava cemento, ghignando roccia

e aprendo la bocca marcia di palude,

Una trappola senza denti, così affamata, di me.

Era notte, in quel solitario Adesso

presso il fosco Lago di me stesso, discarica di Eden

Nella regione nebbiosa dell’Io.

Di immaginari boschi circondata, infestata

da Demoni con la faccia di vetro.

 

Qui, una volta, attraverso un titanico viale

Un Grande Boa dalla pelle di diamanti e pietre

Con spire e veleno acquattate, schiacciate

Sotto i morbidi passi del malcapitato

Vagavo con Psiche (tre seni e una flebile voce)

Che mi teneva la mano, leccandomi l’orecchio

Pronta a dare vita, forma, a ogni capriccio

Della mia anima (sua rivale, bionda vergine stuprata)

Che bruciava carburante di anfetamine

come un Saturn 5 che buca l’atmosfera, per l’oltre.

 

I miei pensieri erano avvizziti, cotti dalla fiamma,

dalle braci di puttane che si ergevano come fari

di carne per i Conquistadores dell’asfalto,

figli di Hubris, e io Capitano di vecchio corso

In testa a tutti con le vele di Achille nere come la notte

Con mille remi sui fianchi, e mille cose mai dette.

E mille monete ficcate in bocca a Psiche

La più bella di tutte, Faro d’Alessandria e Eiffel di polpa.

“Seguimi”, sussurrò come sempre. “Al tuo bel Lago”

Nella regione nebbiosa dell’Io,

infestata da Demoni con la faccia di vetro.

 

E qui, Adesso, mastico mango e aspetto di vedere,

Cosa Psiche vuole mostrarmi, di questo posto,

Di questo mio posto tatuato come mappa, cruda,

Sulla mia schiena, del quale ogni recesso, ogni fronda

Disegnai curve, pergolati, sottane e lucciole volanti.

Sotto di noi il sentiero (il serpente) respira appena

così come i globi rosa della mia guida, Psiche di turno,

palpitano d’attesa per giungere là, dove il viale si

interrompe, con tra i denti un’ombra troppo grande

per passare oltre, per non vederla, laggiù,

Dove lei mi sta portando, con le mie monete negli occhi.

 

“Oh, affrettati! —Non indugiamo!” mi dice, strizzando

lacrime mai viste, trascinando a terra le punte bianche

Di una coppia d’ali appena spuntate, e la sua borsetta

trasparente, con dentro cuore, fegato, tutti gli organi

in miniatura, innervata di cavi elettrici, di vene nuove.

Una trappola senza denti, anche lei, così affamata, di me.

Ma spaventata, adesso, di divorarmi come sempre

Nell’ombra che nessuno vede, laggiù, sprazzo di buio.

presso il fosco Lago di me stesso, discarica di Eden

Cerco di calmare Psiche, la bacio, e mi morde la lingua.

 

“Oh, affrettati! —Non indugiamo!”, ripete, spingendomi

Avanti, come se fosse troppo tardi, e io colpevole

Di non avere nuove ali come lei, di essere così lento, a

Correre e capire, troppo mortale, e lei spettrale

Magnifica Diana affilata di questi boschi, Circe del

Mio Lago e delle mie grotte, dei flutti e delle maree

Domatrice, in abito rosso, dei demoni dalla faccia di vetro

Che frusta con lo sguardo, e che si tengono lontani

Da noi, là nascosti, a riflettere il nostro cammino.

 

Proseguimmo il cammino, fino in fondo, fino a quel

Mostro d‘ombra che sembrava pronto a balzare,

Su tutto ciò che non è alato, oppure morto: su di me.

Quindi, arrivato vicino al suo muso feroce

Che adesso si mostra di lupo, di psicopompo predatore

E che morde, e fa male, come il più grande piacere

Il Boudoir benedetto, l’Eldorado, il Nirvana, la fine corsa

Che aspetto, da quando mi hanno scritto sulla fronte

CANCRO, come Golem servo di passioni cronometrate

L’esplosione, tra le gambe di una tomba bizantina

o di Psiche, o di sua sorella che azzanna meravigliosamente.

Solo (Alone, 1829)

Dall’infanzia non sono stato

Come erano altri—non ho visto

Come altri hanno visto—non ho potuto portarmi dietro

Le mie passioni da una comune primavera—

Dalla stessa fonte non ho preso

Il mio dolore—non potevo svegliare

Il mio cuore alla gioia col medesimo suono,

E tutto ciò che amavo—lo amavo da solo

Quindi—nella mia infanzia—alba

Di una vita molto burrascosa—è stato tratto

Da ogni profondità del bene e del male

Il mistero che ancora mi stringe—

Dal torrente, o dalla fontana—

Dalla rossa rupe della montagna—

Dal sole che mi girava attorno

Nella sua tinta dorata d’autunno—

 

Dal lampo nel cielo

Mentre mi passava vicino, in volo—

Dal tuono e dalla tempesta—

E dalla nuvola che ha assunto la forma

(Quando il resto del Cielo era blu)

Ai miei occhi, di un demone—

A Helen (To Helen, 1848)

Ti vidi una volta, una volta sola, armi fa:

Non devo dirti quanti, ma non molti.

Era una mezzanotte di luglio; quando là fuori

Una luna piena, che, come la tua stessa anima, innalzandosi,

Cercava un avventato sentiero attraverso il cielo,

Cadde un velo di setosa luce argentea,

Con quiete, afa e torpore,

Sui volti all’insù di mille

Rose che crescevano in un giardino incantato,

Dove nessun vento osava muoversi, se non in punta di piedi—

Cadde sui volti all’insù di queste rose

Che restituirono, in cambio della luce dell’amore,

Le loro profumate anime in estatica morte—

Cadde sui volti all’insù di queste rose

Che sorrisero e morirono nelle aiuole di questo giardino,

[incantato

 

Da te e dalla poesia della tua presenza.

Vestita tutta di bianco, su una sponda di viole

Ti ho vista mezza distesa; mentre la luna

Cadeva sui volti all’insù di queste rose

E sul tuo viso sollevato, ahimè, nella tristezza!—

 

Non fu il Destino, che, in quella mezzanotte di luglio—

Non fu il Destino, (e Dolore è l’altro suo nome)

A farmi fermare davanti al cancello di quel giardino,

A respirare l’incenso di quelle rose addormentate?

Nemmeno un passo: l’odiato mondo dormiva,

Tranne te e me. (Oh, Cielo!—Oh, Dio!

Come batte il mio cuore abbinando quelle due parole!)

Tranne te e me. Mi fermai—guardai—

E in un attimo ogni cosa scomparve.

(Oh, tieni in mente che questo giardino era incantato!)

 

La lucentezza madreperlacea della luna si spense:

Le sponde muschiose e i tortuosi sentieri,

I fiori felici e gli alberi gementi,

 

Non si vedevano più: il profumo delle rose stesse

Morì tra le braccia dell’adorante aria.

Tutto—tutto spariva tranne te—nient’ altro chete:

Solo la luce divina nei tuoi occhi—

Null’altro che l’anima nei tuoi occhi sollevati verso il cielo

Questo vedevo—era il mondo per me!

Questo vedevo—solo questo per ore,

Vedevo solo questo finché la luna si spense.

Quali selvagge storie del cuore sembravano scritte

Su quelle sfere cristalline e celesti!

Quale oscura pena, eppure sublime speranza!

Quale silente e sereno mare di orgoglio!

Quale audace ambizione; e che profonda—

Insondabile capacità di amore!

 

Ma ora, alla fine, la cara Diana sparì dalla mia vista,

Velata in un letto disti nubi temporalesche a occidente;

E tu, uno spettro, tra gli alberi sepolti

Ti dileguasti. Rimasero solo i tuoi occhi;

Non vollero andarsene: non vollero mai andarsene;

 

Illuminando il mio solitario cammino verso casa, quella notte,

Da allora non mi hanno più lasciato (come invece le mie

[speranze);

Mi seguono—mi guidano negli anni.

Sono i miei ministri—e io il loro schiavo.

fluoro compito è di dominare e ravvivare—

Il mio dovere, per essere salvato dalla loro luce brillante,

E purificato nel loro fuoco elettrico,

E santificato nel loro fuoco elisio.

Mi colmano l’anima di Bellezza (che è Speranza),

E sono lontane in Cielo, le stelle a cui mi inginocchio

Nelle tristi, silenziose veglie della mia notte;

Mentre anche ne[ bagliore meridiano del giorno

Le vedo ancora, due dolci e scintillanti

Veneri, che il sole non può oscurare!

Ulalume (Ulalume, 1847)

I cieli erano cinerei e mesti

Le foglie increspate e secche—

Le foglie avvizzite e secche;

Era notte in quel solitario ottobre

Del mio più immemorabile anno:

Era presso il fosco lago di Auber,

Nella nebbiosa regione del Weir—

Era giù nel freddo laghetto di Auber,

Nel bosco del Weir infestato dai demoni.

 

Qui una volta, attraverso un titanico viale,

Di cipressi, vagavo con la mia Anima—

Di cipresso, con Psiche, la mia Anima.

Erano giorni in cui il mio cuore era come un vulcano

Come i fiumi scoriacei che scorrono—

Come la lava che si distende irrequieta

 

In sulfuree correnti giù per lo Yaanek,

Negli estremi climi del Polo—

Quel gemito, mentre si versano giù per il Monte Yaanek

Nei regni del Polo Boreale.

 

I nostri discorsi furono seri e sobri,

Mai pensieri erano paralizzati e appassiti—

I nostri ricordi erano infidi e secchi;—

Perché non sapevamo che era Ottobre,

E non ci rendemmo conto di quale notte fosse dell’anno

(Ah, la notte di tutte le notti dell’anno!)—

Non notammo il fosco lago di Auber,

(Anche se una volta eravamo venuti fin laggiù)—

Non ricordavamo il freddo umido dell’Auber,

Né il bosco del Weir infestato dai demoni.

 

E quando la notte era ormai avvizzita

E i quadranti delle stelle indicavano il mattino—

Mentre i quadranti delle stelle alludevano al mattino—

Al termine del nostro cammino una liquescente

 

E vaga lucentezza, si manifestò

Dalla quale una prodigiosa luna crescente

Sorse con un duplice corno—

La mezzaluna di Astarte ricoperta diamanti,

Definita dal suo doppio corno.

 

E io dissi: “È più ardente di Diana:

Si dipana attraverso un etere di sospiri—

Si crogiola in una regione di sospiri.

Ha visto che le lacrime non si asciugano

Su queste guance, dove il verme non muore mai,

Ed è venuta da oltre le stelle del Leone,

A indicarci il cammino verso i cieli—

Alla Lefiana pace dei cieli—

È venuta, nonostante il Leone,

Per brillare su di noi coi suoi occhi luminosi.”

 

Ma Psiche, sollevando il dito,

Disse: “Purtroppo diffido di questa stella—

Del suo pallore stranamente diffido

 

Oh, affrettati! —Non indugiamo!

Oh, fuggi! —fuggiamo via! —perché lo dobbiamo.”

Parlava con terrore; abbassando le

Ali fino a farle strisciare nella polvere—

Singhiozzava con angoscia, lasciando sprofondare le

Piume fino a farle strisciare nella polvere—

Fino a quando non strisciarono tristemente nella polvere.

 

Io replicai: “Questo non è che un sogno.

Andiamo verso questo tremulo chiarore!

Bagniamoci in questa luce cristallina!

11 suo Sibillino splendore si irradia

Di Speranza e Bellezza stanotte—

Guarda! —Sfarfalla nel cielo, durante la notte!

Oh, possiamo di sicuro fidarci del suo luccichio,

Ed essere certi che ci porterà nella giusta direzione—

Possiamo fidarci di un luccichio,

Che non può che guidarci nella giusta direzione,

Dal momento che sfarfalla fino al Cielo durante la notte.”

 

Così calmai Psiche e la baciai,

Allettandola fuori dalla sua tristezza—

Vincendo le sue remore e la sua tristezza;

E proseguimmo il cammino fino alla fine della visione,

Ma ci fermò la porta di una tomba—

La porta di una tomba che recava un’iscrizione: —

Bis dissi: “Che cosa è scritto, dolce sorella,

Sull’iscrizione della porta di questa tomba?”

Lei rispose: “Ulalume —Ulalume—

È la cripta della tua perduta Ulalume!”

 

Poi il mio cuore divenne cinereo e mesto

Come le foglie increspate e secche—

Come le foglie appassite e secche;

E io gridai: “Era sicuramente Ottobre

In questa stessa notte dell’anno scorso,

Che io venni—Venni quaggiù!—

Portando un terribile fardello qui—

In questa notte, tra tutte le notti dell’anno,

Oh, quale demone mi ha ricondotto qui?

 

Ora riconosco bene questo fosco lago di Auber—

Questa nebbiosa regione del Weir—

Ora riconosco bene questo freddo laghetto di Auber—

Questo bosco infestato dai demoni del Wein.”

Il corvo e tutte le poesie di Edgar Allan Poe

  • Editore: Independent Legions Publishing
  • Uscita: dicembre 2019
  • Edizione Collection – Tiratura Limitata (200 copie numerate)
  • Collana: Spectres
  • 200 pagine
  • Brossura, stampa su carta 120 grammi
  • Illustrazione di copertina: Wendy Saber Core
  • Illustrazioni interne: Stefano Cardoselli
  • Traduzione di Alessandro Manzetti
  • Prezzo di copertina (Ed. Cartacea Collection): €15,90
Informazioni su Daniele Imperi 665 Articoli
Scrivo testi per il web e correggo bozze di manoscritti. Scrivo anche sul mio blog «Penna blu» e sull’aerosito ufficiale di F.T. Marinetti.

4 Commenti

  1. Io mi domando come fate a pubblicare delle cose così tremende? hanno tradotto cambiando completamente il senso di alcune poesie di Edgar Allan Poe con dei versi da 4 soldi e voi date spazio su questo sito che ritenevo serio e importante a queste bestemmie sulla poesia del maestro? Ma per carità Poe si deve essere rivoltato nella tomba, avete stuprato dei versi melodici e ritmati con delle frasi di una banalità unica. Per carità lasciate stare le opere perfette del maestro e pubblicate i vostri giornaletti altrove, Poe non ha bisogno di queste insulse rivisitazioni pulp.

    • Lo spazio ai libri sulle opere di Poe viene dato per dovere di informazione. A giudicare sarà chi comprerà il libro.
      La versione rivisitata di Ulalume neanche a me piace, perché è totalmente diversa.
      Ma non ho letto tutte le nuove traduzioni del libro.

  2. sono il titolare della libreria Il Mercante di Libri di Agrigento, sarei interessato all’acquisto di alcune copie del libro di poesie. Vorrei avere lumi al riguardo. Grazie

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