Rivelazione mesmerica

Il racconto “Rivelazione mesmerica” (“Mesmeric Revelation”) fu pubblicato nell’agosto 1844 sul «Columbian Magazine». Il manoscritto originale non è sopravvissuto.

Poe parla del racconto in una lettera a James Russell Lowell1:

New York, 18 agosto 1844

Mio caro amico,
con questa lettera mi prendo la libertà di mandarvi un numero del Columbian Magazine, nel quale troverete un articolo sulla Rivelazione mesmerica. In esso ho cercato di sviluppare alcune idee a cui accennai nella mia ultima lettera.

Vi noterete molte correzioni e alterazioni. Infatti l’articolo è lamentevolmente pieno di errori di stampa; se ora mi permetto di disturbarvi mandandovelo è appunto per pregarvi di farmelo ristampare corretto sul «Fratello Gionata»2, voglio dire sulla Notion di Boston3, o su qualunque altro giornale in cui abbiate credito. Se potete farlo senza fastidio, ve ne sarei profondamente obbligato. In questo momento vivo talmente fuori del mondo, che non posso fare nulla di simile per me.4

Poe revisionò poi il racconto in previsione della raccolta Tales, forse la stessa versione che inviò a Rufus Wilmot Griswold il 24 febbraio 1845, sperando che fosse inclusa in una nuova ristampa di The Prose Writers of America5.

New York, 24 febbraio 1845
Mio caro Griswold,
poco tempo dopo averti veduto, ti ho mandato, per mezzo di Zeiber6, tutte le mie poesie che varrebbe la pena di ripubblicare, e presumo che ti siano arrivate. Con questa mia ti mando anche un altro pacco, sempre per mezzo di Zeiber, attraverso Burgess e Stringer7. Contiene come saggio Rivelazione mesmerica che vorrei vi fosse compresa anche se bisogna omettere qualche altra cosa.

Le ristampe del racconto

“Rivelazione mesmerica” ebbe numerose ristampe, ben 17 finché Poe era in vita, di cui 4 non autorizzate. Il racconto fu poi incluso in Works (Mabbott, 1850), raccolta curata da Griswold.

La traduzione di Charles Baudelaire, “Révélation Magnétique”, apparve il 15 luglio 1848 su «La Liberté de Penser». Vi fu anche una traduzione in spagnolo, “Revelación”, apparsa l’8 ottobre 1858 su «La América», vol. II.

La presente traduzione

“Rivelazione magnetica” – titolo che abbiamo mantenuto, anche se il racconto è conosciuto con il più letterale “Rivelazione mesmerica” – è apparso nella raccolta Racconti curiosi e grotteschi, pubblicata da STEN editrice di Torino nel 1924.

Il titolo “Rivelazione magnetica” si rinviene comunque in alcune pubblicazioni ottocentesche, per esempio in Manuale di ogni letteratura dell’ab. Antonio Riccardi (per Ranieri Guasti, 1858) e nelle prime traduzioni dei racconti.

Le note, dove non specificato, provengono da Edgar Allan Poe (ed. T. O. Mabbott), “Mesmeric Revelation,” The Collected Works of Edgar Allan Poe — Vol. III: Tales and Sketches (1978), pp. 1024-1042.

Rivelazione magnetica

Quantunque le tenebre del dubbio ancora ravvolgano la teoria positiva del magnetismo, i suoi effetti fulminanti sono ora ammessi quasi da tutti. Coloro che dubitano di tali effetti sono semplici scettici di professione, che formano una impotente e poco onorevole casta. Oggi sarebbe assolutamente fuor di tempo divertirsi a provare che l’uomo con un semplice esercizio della sua volontà può abbastanza vincere il suo simile da gettarlo in una condizione anormale, i cui fenomeni rassomigliano alla lettera a quelli che son prodotti dalla morte, o almeno vi rassomigliano più di qualunque altro fenomeno causato in una data condizione normale: e in tutto il tempo che dura un tale stato la persona così suggestionata non adopera che con isforzo, e per conseguenza con poca facilità, gli organi esterni dei sensi, mentre pure con una molto sottile perspicacia e per una via misteriosa vede oggetti che son posti al di là della portata delle sue forze fisiche; e inoltre le sue facoltà intellettuali si acuiscono e si fortificano in una prodigiosa maniera; e le sue simpatie con la persona che agisce su di lei, si fanno sempre più intense; e finalmente la sua suscettibilità verso le impressioni magnetiche, cresce in proporzione della loro frequenza, allo stesso tempo che i fenomeni particolari che si sono ottenuti si estendono e maggiormente si sviluppano sempre nella stessa proporzione.

Ripeto che sarebbe inutile dimostrare questi varî fatti nei quali si compendia la legge generale del magnetismo e che ne forma le linee principali. Non infliggerò dunque ai miei lettori una simile dimostrazione che riuscirebbe completamente inutile. A dispetto di tutto un mondo di pregiudizi, io sento il bisogno di raccontare, senza farvi alcun commento, ma in tutti i suoi particolari, una molto notevole conversazione che ebbe luogo fra me e un sonnambulo8.

Da molto tempo io avevo preso l’abitudine di magnetizzare un tal Vankirk9 e la suscettibilità viva e la esaltazione del senso magnetico si erano già benissimo manifestati. Per parecchi mesi Vankirk aveva molto sofferto per una tisi avanzata, i cui più crudeli effetti erano stati diminuiti dai miei passi; quando nella notte di mercoledì 13 corrente, fui chiamato al suo capezzale.

Il malato soffriva di vivi dolori nella regione cardiaca e respirava con grande difficoltà, avendo tutti i sintomi ordinari d’un’asma. Altre volte, durante spasimi di quella fatta, egli aveva trovato un sollievo applicando un poco di senape ai centri nervosi, ma quella sera vi aveva ricorso invano.

Quando entrai nella sua camera, egli mi salutò con un grazioso sorriso e quantunque fosse in preda ad acuti dolori fisici, per ciò che riguarda il morale mi parve assolutamente calmo.

«Vi ho mandato a chiamar questa notte» egli mi disse «non tanto per avere da voi un sollievo per il mio fisico, quanto perché mi contentiate con una spiegazione di certe impressioni psichiche che or ora mi hanno recato molta ansia assieme a una intensa sorpresa. Non è necessario che vi ripeta quanto sino ad ora io sia stato scettico riguardo all’immortalità dell’anima. Non posso nascondervi che in questa stessa anima, che io andava negando, ha però sempre esistito un pallido sentimento, vaghissimo, della sua propria esistenza. Ma questo pallido sentimento non si è innalzato allo stato di convinzione. Di tutto ciò la mia ragione non poteva far nulla. Tutti i miei sforzi per stabilirvi sopra un logico esame non sono riusciti ad altro che a rendermi anche più scettico di prima. Mi è venuta l’idea di mettermi a studiare Cousin10: e l’ho studiato non solo nelle sue opere ma sull’eco che esse avevano suscitato tanto qui che in America, quanto in Europa. Ho avuto, per esempio, fra le mani il Carlo Elwood di Brownson11 e l’ho letto con un’attenzione profonda, trovandolo logico dal principio alla fine. Ma le parti che non sono pura logica sono sventuratamente le primordiali argomentazioni dell’incredulo eroe del libro. Nel suo insieme mi parve che colui che aveva voluto tanto ragionare, non era nemmeno riuscito a convincere sé stesso. E la fine del libro ha evidentemente dimenticato il suo principio, come Trinculo12 il suo governo. In una parola, non tardai molto ad accorgermi che, se l’uomo deve essere intellettualmente convinto della propria immortalità, non lo sarà certo per le pure astrazioni le quali per tanto tempo sono state la mania dei moralisti francesi, inglesi e tedeschi. Le astrazioni possono essere un divertimento e una ginnastica, ma esse non s’impossessano mai del nostro spirito. Fintanto che noi saremo su questa terra, la filosofia, io ne son persuaso, c’imporrà sempre invano di considerare le qualità come enti. La volontà può acconsertirvi; ma l’anima, ma l’intelletto non mai.

«Ripeto dunque che io ho sempre sentito per metà e non ho mai creduto intellettualmente. Ma ultimamente vi fu in me un certo ringagliardimento di sentimento che si alzò ad una intensità abbastanza grande per rassomigliare ad una acquiescenza della ragione fino al punto che io trovo assai difficile di farne la distinzione. Io credo d’aver diritto d’attribuire quest’effetto a una semplice influenza magnetica. Non saprei spiegare il mio pensiero che per mezzo d’un’ipotesi, cioè che l’esaltazione magnetica mi rende atto a concepire un ragionamento che nella mia esistenza anormale mi convinca, ma che, per una completa analogia col fenomeno magnetico non arriva a estendersi, all’infuori che per l’effetto, fino alla mia esistenza normale.

«Nello stato di sonnambulismo, fra il ragionamento e la conclusione, fra la causa ed il suo effetto v’ha simultaneità e contemporaneità. Nel mio stato naturale, evanescendo la causa, solo l’effetto rimane e forse anche molto indebolito.

«Queste considerazioni m’hanno portato a pensare che si potrebbero trarre buoni risultati da una serie di domande ben dirette, proposte alla mia intelligenza durante lo stato magnetico. Voi spesso avete osservato come il sonnambulo manifesti una profonda conoscenza di sé stesso, e come egli spieghi una vasta scienza su tutti i punti relativi allo stato magnetico. Da questa conoscenza di sé stesso si potrebbero cavare istruzioni sufficienti per la razionale compilazione di un catechismo».

Naturalmente io acconsentii a procedere a una tale esperienza. Pochi passi fecero piombar Vankirk nel sonno magnetico. Il suo respiro divenne immediatamente più agile e non parve che più soffrisse fisicamente.

E fra noi avvenne il dialogo seguente, nella cui riproduzione la lettera V rappresenterà il sonnambulo e la lettera P indicherà la mia persona.

P. «Siete addormentato?».

V. «Sì… no… Vorrei dormire anche più profondamente».

P. «(Dopo parecchi nuovi passi). Ed ora dormite bene?».

V. «Sì».

P. «Come supponete che finisca la vostra attuale malattia?».

V. «(Dopo una lunga esitazione e parlando quasi con sforzo). Morrò».

P. «Quest’idea di morte non vi dà alcuna pena?».

V. «(Con vivacità). No… no!…».

P. «Una tal prospettiva vi dà forse piacere?».

V. «Se fossi desto, desidererei di morire. Ma ora non c’è nessuna ragione perché io lo desideri. Lo stato magnetico è abbastanza vicino a quello della morte per rendermi contento».

P. «Io vorrei, Vankirk, una spiegazione un poco più precisa».

V. «Anch’io vorrei darvela, ma ciò richiede uno sforzo maggiore di quanto io mi senta capace di fare. Voi non m’interrogate come si conviene».

P. «Allora che cos’è che bisogna chiedervi?».

V. «Bisogna che voi cominciate dal principio».

P. «Il principio!… Ma qual è il principio?…».

V. «Voi sapete bene che il principio è Dio!13 (Queste parole furono dette con un tono basso, ondeggiante e con tutti i segni della più profonda venerazione).

P. «Allora… che cosa è Dio?».

V. «(Esitando un momento). Non lo posso dire».

P. «Dio non è forse uno spirito?14».

V. «Quando io ero desto, sapevo che cosa voi intendete per ispirito. Ma ora ciò non mi sembra che una parola, come, per esempio, le altre di “verità” “bontà” insomma una qualsiasi qualità».

P. «Dio non è immateriale?».

V. «L’immaterialità non esiste; è una semplice parola. Ciò che non è materia non è, a meno che le semplici qualità non siano enti».

P. «Dio dunque è materiale?».

V. «No. (Questa risposta mi sbalordì)».

P. «E… allora che cos’è?…».

V. «(Dopo una lunga pausa e borbottando). Io lo vedo… lo vedo… ma è una cosa molto difficile a dirsi. (Altra pausa ugualmente lunga). Esso non è uno spirito poiché esiste. Ma esso non è nemmeno materia al modo come la intendete voi. Vi sono gradazioni di materia che l’uomo non conosce affatto, di cui la più densa comprende la più sottile, la più sottile penetra la più densa. Per esempio, l’atmosfera mette in moto il principio elettrico, mentre il principio elettrico penetra l’atmosfera. Queste gradazioni di materia aumentano in rarefazione e in sottigliezza fino a che si arriva a una materia imparticolata15, senza molecole, indivisibile, una: e qui la legge d’impulsazione e di penetrazione viene modificata. La materia suprema o imparticolata non solo penetra tutti gli esseri ma li pone tutti in movimento, e perciò ella è in uno tutti quanti gli esseri, e quest’uno è ella stessa. Questa materia è Dio. Ciò che gli uomini cercano di personificare nella parola pensiero, non è che la materia in movimento»16.

P. «I metafisici sostengono che ogni azione si riduce a movimento e pensiero e che questo è l’origine di tutto».

V. «Sì: ora scorgo la confusione d’idee. Il movimento è l’azione dello spirito non del pensiero. La materia imparticolata, o Dio allo stato di riposo, per quanto noi possiamo concepire, è ciò che gli uomini chiamano spirito. E questa facoltà di automovimento, equivalente nel fatto alla volontà umana, nella materia imparticolata è il risultato della sua unità e della sua onnipotenza: come ciò sia io non lo so ed ora vedo chiaramente che non lo saprò mai; ma la materia imparticolata messa in moto da una legge o da una forza in essa contenuta è pesante».

P. «Non potreste darmi un’idea più precisa di ciò che voi intendete per materia imparticolata?».

V. «Le materie conosciute dall’uomo sfuggono ai sensi, di mano in mano che se ne risale la scala. Noi abbiamo, per esempio, un metallo, un pezzo di legno, una goccia d’acqua, l’atmosfera, un gas, il carbonio, l’elettricità, l’etere luminoso. Noi a tutte queste cose diamo il nome di materia e comprendiamo tutte le materie in una definizione generale: ma a dispetto di tutto ciò non vi sono due idee che siano così essenzialmente distinte come quelle che noi applichiamo al metallo e all’etere luminoso. Se noi esaminiamo quest’ultimo, sentiamo in modo quasi irresistibile la tentazione di classificarlo con lo spirito o col non-esistente. La sola considerazione che ci trattiene è il concetto che noi ci siam fatti della sua atomica costituzione. Ed anche qui noi abbiamo bisogno di ricordarci e di richiamare in nostro aiuto la nostra primitiva nozione dell’atomo, vale a dire di una cosa che possieda nella sua infinita esiguità, tangibilità, volume e peso. Sopprimiamo l’idea della costituzione atomica e ci sarà impossibile di considerare l’etere come un ente o almeno come una materia. In mancanza di una parola più esatta, noi potremo chiamarlo spirito. Ora saliamo d’un gradino di là dell’etere luminoso e pensiamo una materia che stia all’etere per rarefazione come l’etere sta al metallo e arriveremo nonostante tutti i dogmi scolastici, a una massa unica, a una materia imparticolata. Imperocché, quantunque noi possiamo ammettere una piccolezza infinita negli stessi atomi, è assurdo poterla supporre negli spazi che li separano. Vi sarà un punto, un grado di rarefazione dove se gli atomi sono in una quantità sufficiente, gli spazi scompariranno e la massa sarà assolutamente una. Ma poiché la considerazione della costituzione atomica ora è messa da banda, la natura di questa massa scende inevitabilmente nel concetto che noi abbiamo dello spirito. È chiaro tuttavia che essa sia sempre materia come prima. La verità poi è che è altrettanto impossibile concepire lo spirito, che immaginare ciò che non esiste. Quando noi ci lusinghiamo d’avere finalmente trovato un tal concetto, non abbiamo fatto altro che dare il cambio alla nostra intelligenza con la considerazione della materia infinitamente rarefatta».

P. «Mi pare che ci sia un’insormontabile obiezione a quest’idea d’assoluta coesione: ed è la debolissima resistenza che subiscono i corpi celesti nelle loro rivoluzioni traverso allo spazio, resistenza che esiste in un grado qualunque, come oggi è ormai dimostrato, ma ad un grado così debole che essa è sfuggita anche alla sagacia dello stesso Newton. Noi sappiamo che la resistenza dei corpi è in ragione, sopra tutto, della loro densità. Là dove non sono intervalli, non possono trovarsi passaggi. Un etere assolutamente denso costituisce un ostacolo più forte al cammino di un pianeta che quello prodotto da un etere di diamante o di ferro»17.

V. «Voi mi avete posto quest’obiezione con una facilità che è, presso a poco, in ragione della sua apparente irrefutabilità. Una stella cammina: che cosa importa se è la stella che passa attraverso l’etere o è l’etere che passa traverso la stella? Non v’ha errore astronomico meno spiegabile di quello che accorda il ritardo conosciuto delle comete attraverso all’etere. Imperocché per quanto l’etere voglia supporsi rarefatto, formerà sempre ostacolo ad ogni rivoluzione siderale, in un periodo singolarmente più breve che non sia quello ammesso da tutti gli astronomi che si sono applicati a passar furbescamente sopra un punto che essi avevano giudicato come insolubile. Inoltre il ritardo reale è presso a poco uguale a quello che può risultare dal fregamento prodotto dall’etere nel suo passaggio incessante traverso a un astro. La forza dunque del ritardo è doppia, prima momentanea ed in sé stessa completa, poi crescente fino all’infinito».

P. «Ma in tutto ciò, in questa identificazione della pura materia con Dio, non v’ha nulla d’irriverente? (Io fui forzato a ripetere questa domanda, affinché il sonnambulo potesse afferrare completamente il mio pensiero)».

V. «Potreste voi dirmi perché la materia dev’esser meno degna di rispetto dello spirito? Ma voi poi dimenticate che la materia di cui io parlo, è, sotto tutti i rispetti, e sopratutto avuto riguardo alle sue alte proprietà, la vera intelligenza o spirito delle nostre scuole e nello stesso tempo è la materia come la intendono le stesse nostre scuole. Iddio con tutti i poteri attribuiti allo spirito non è che la perfezione della materia».

P. «Voi dunque affermate che la materia imparticolata in movimento sia il pensiero?».

V. «Generalmente questo movimento è il pensiero universale dello spirito universale. Questo pensiero crea. Tutte le cose create non sono che i pensieri di Dio».

P. «Avete detto: generalmente».

V. «Sì. Lo spirito universale è Dio. Per le nuove individualità la materia è necessaria».

P. «Ma voi ora parlate di spirito e di materia alla maniera dei metafisici».

V. «Sì, per evitare la confusione. Quando io dico spirito, intendo dire la materia imparticolata o suprema: sotto il nome di materia io intendo tutte le altre specie».

P. «Dicevate che per le nuove individualità è necessaria».

V. «Sì, poiché lo spirito esistente incorporeamente è Dio. Per creare esseri individuali pensanti era necessario incarnare porzioni dello spirito divino. È così che l’uomo viene individualizzato. Spogliato del vestimento corporeo, egli sarebbe Dio. Ora il moto speciale delle parti incarnate della materia imparticolata è il pensiero dell’uomo, come il moto di tutto l’insieme è il pensiero di Dio».

P. «Voi dite che, dispogliato del corpo, l’uomo sarebbe Dio?…».

V. «(Dopo un poco d’esitazione). Io non ho potuto dir ciò: questa è un’assurdità».

P. «(Dando un’occhiata ai miei appunti). Voi avete affermato che spogliato del suo vestimento corporeo, l’uomo sarebbe Dio».

V. «E ciò è vero. L’uomo, così liberato, sarebbe Dio, egli sarebbe disindividualizzato. Ma egli non può essere spogliato così, o almeno non lo sarà mai, altrimenti bisognerebbe concepire un’azione di Dio ritornante su sé stessa, ossia un’azione futile e senza scopo. L’uomo è una creatura. Le creature sono i pensieri di Dio. Ed è natura propria del pensiero essere irrevocabile».

P. «Io non capisco. Voi dite che l’uomo non potrà mai liberarsi del suo corpo».

V. «Dico che egli non potrà esser mai senza corpo».

P. «Spiegatevi».

V. «Vi sono due corpi: il rudimentale e il completo, corrispondenti alle due condizioni del verme e della farfalla. Ciò che noi chiamiamo morte non è che la metamorfosi dolorosa. La nostra attuale incarnazione è progressiva, preparatoria, temporanea. La nostra incarnazione successiva è perfetta, finale, immortale. La vita finale è lo scopo supremo».

P. «Ma noi abbiamo una nozione palpabile della metamorfosi della crisalide in farfalla».

V. «Noi sì, ma non già la crisalide. La materia di cui è composto il nostro corpo rudimentale è il grado degli organi del nostro corpo stesso, o per dirla più chiaramente, i nostri organi rudimentali sono appropriati alla materia di cui è composto il nostro corpo rudimentale, ma non a quello di cui è composto il nostro corpo supremo. Questo corpo supremo o ulteriore, che vogliamo dire, sfugge dunque ai nostri sensi rudimentali e noi scorgiamo solo la scorza che, deperendo, cade e si distacca dalla forma interna, ma non scorgiamo questa forma intima. Però questa, come la sua scorza, può essere conosciuta da coloro che hanno già conquistato la vita ulteriore».

P. «Voi avete detto spesso che lo stato magnetico rassomiglia in un singolar modo alla morte. Come è questo?».

V. «Quando dico che rassomiglia alla morte, intendo dire che rassomiglia alla vita ulteriore. Poiché, quando io sono magnetizzato, i sensi della mia vita rudimentale sono vacanti ed io scorgo le cose esteriori, in linea diretta, senza organi, per mezzo d’un agente che sarà a mio servizio nella vita ulteriore o inorganica».

P. «Inorganica?».

V. «Sì. Gli organi sono meccanismi, per mezzo dei quali l’individuo è messo in rapporto sensibile con alcune categorie e forme della materia, mentre non v’è messo con altre categorie e con altre forme. Gli organi dell’uomo sono appropriati alla sua condizione rudimentale ed a questa sola. La sua condizione ulteriore, essendo inorganica, è adatta ad una comprensione infinita di tutte le cose, una sola eccettuata e questa è la natura della volontà di Dio, vale a dire il movimento della materia imparticolata. Vi potrete formare un’idea esatta del corpo definitivo immaginandovi che esso sia tutto cervello. Non è affatto ciò, ma pensando così vi potete avvicinare all’idea della sua vera essenza. Un corpo luminoso comunica una vibrazione all’etere incaricato di trasmettere la luce. Questa vibrazione ne genera altre simili sulla retina e queste ne producono alla loro volta altre identiche sul nervo ottico. Il nervo le trasmette al cervello ed il cervello alla materia imparticolata che lo penetra. Il movimento di quest’ultima vibrazione è il pensiero e la prima vibrazione di esso è la percezione. Tale è il modo per mezzo del quale lo spirito della nostra vita rudimentale comunica col mondo esteriore: il quale, sempre nella vita rudimentale, è limitato dall’idiosincrasia degli organi. Ma nella vita ulteriore, inorganica, il mondo esteriore comunica col corpo intero, che è d’una sostanza, come già vi ho detto, affine a quella di cui è composto il cervello, senz’altro intervento che quello d’un etere infinitamente più sottile dell’etere luminoso: e il corpo intero vibra all’unisono con quell’etere e mette in movimento la materia imparticolata da cui esso è penetrato. All’assenza degli organi idiosincrasiaci bisogna dunque attribuire la quasi illimitata percezione della vita ulteriore. Gli organi sono vincoli necessari, nei quali son legati gli enti rudimentali fino a che essi non abbiano messe tutte le loro penne».

P. «Parlate d’essere rudimentali: vi sono forse altri enti rudimentali oltre l’uomo?».

V. «L’incalcolabile agglomerazione di materia sottile nelle nebulose, nei pianeti, nei soli e in altri corpi che non sono né nebulose, né soli, né pianeti, ha per solo scopo di servire d’alimento agli organi idiosincrasiaci d’una infinità di enti rudimentali. Ma senza questa necessità della vita rudimentale, che è incamminamento alla vita definitiva, mondi simili non avrebbero certo esistito. Ognuno di questi mondi è occupato da una distinta varietà di creature organiche, rudimentali, pensanti. E in queste i caratteri cambiano a seconda del luogo abitato. Al momento della morte o metamorfosi, quelle creature che salgono a godere la vita ulteriore, l’immortalità, e conoscono tutti i segreti, all’infuori dell’unico, eseguiscono tutti i loro atti e si muovono in ogni senso per un puro effetto della loro volontà; esse abitano, non più le stelle, che ci appaiono i soli mondi palpabili e per la cui comodità noi stupidamente crediamo che lo spazio sia stato creato, ma lo spazio stesso, quest’infinito la cui immensità veramente sostanziale assorbe le stelle come fossero ombre, e all’occhio degli angeli le nasconde come non esistenti».

P. «Voi dite che senza la necessità della vita rudimentale, gli astri non sarebbero stati creati. Ma perché questa necessità?»18.

V. «Nella vita inorganica, come appunto nella materia inorganica, nulla v’ha che possa contraddire l’azione d’una legge semplice, unica come è la volontà divina. Vita e materia organiche, complesse, sostanziali e rette da una legge multipla, sono state costituite allo scopo di creare un impedimento».

P. «Va bene: ma dov’era la necessità di creare un tale impedimento?».

V. «Il risultato della legge inviolata è perfezione, giustizia, felicità negativa. Quello della legge violata è imperfezione, ingiustizia, dolore positivo. Mercé gli impedimenti portati dal numero, la complessività o la sostanzialità delle leggi della vita e della materia organiche, la violazione della legge diventa fino a un certo punto praticabile. Così il dolore che non può esistere nella vita inorganica, esiste invece in quella organica».

P. «Ma da qual soddisfacente risultato arguite che il dolore sia stato dovuto creare?».

V. «Tutte le cose, dietro un paragone, sono buone o cattive. Una sufficiente analisi dimostrerà che il piacere, in ogni caso, non è che il contrasto col dolore. Il piacere positivo è una semplice idea. Per essere felici fino a un certo punto, occorre che noi abbiamo sofferto fino a quel punto. Il non soffrire equivarrebbe a non aver mai goduto. Ma è dimostrato che nella vita inorganica non può esistere il dolore: da ciò deriva la necessità di esso nella vita organica. Il dolore della vita primitiva sulla terra è la sola base, la sola garanzia della felicità nella vita ulteriore, nel cielo».

P. «Ma ditemi ancora: io non ho potuto ben comprendere una delle vostre espressioni: quella appunto sulla immensità veramente sostanziale dell’infinito».

V. «Probabilmente ciò è avvenuto perché voi non avete una nozione abbastanza generica della parola sostanza di per sé stessa. Noi non dobbiamo considerarla come una qualità, ma come un sentimento: è negli esseri pensanti la percezione dell’appropriamento della materia al loro organismo. Sulla terra esistono molte cose che sarebbero niente per gli abitanti di Venere; e in Venere molte cose visibili e tangibili, di cui noi non siamo competenti ad apprezzar l’esistenza. Ma per gli esseri inorganici, per gli angeli, la totalità della materia imparticolata è sostanza, vale a dire che la totalità di ciò che noi chiamiamo spazio, è per essi la più vera e completa sostanzialità. Pure gli astri, presi dal punto di vista materiale, sfuggono al senso angelico nella stessa proporzione che la materia imparticolata, presa dal punto di vista immateriale, sfugge ai sensi organici».

Divisore

Avendo il sonnambulo pronunziato queste ultime parole con voce flebile, guardando la sua fisonomia, osservai una singolare espressione che mi allarmò alquanto e che mi decise a destarlo subito. Non l’ebbi appena fatto, che egli ricadde indietro sull’origliere19 e spirò in un sorriso che venne a illuminare tutte le sue linee. Osservai che in meno d’un minuto il suo corpo aveva preso la immobile rigidezza della pietra20. La sua fronte era gelida come il ghiaccio. Così senza dubbio l’avrei ritrovato, dopo che a lungo Asrael21 vi avesse tenuto ferma sopra la sua mano fatale. Il sonnambulo dunque, durante l’ultima parte del suo colloquio, mi aveva forse parlato dal fondo della regione delle ombre?…

Note

1 James Russell Lowell (Cambridge, Massachusetts, 22 febbraio 1819 – ivi, 12 agosto 1891), poeta romantico, critico, editore e diplomatico. Ndr.

2 È il «Brother Jonathan», settimanale fondato nel novembre 1839 da Park Benjamin e Rufus Griswold. Fu la prima pubblicazione illustrata settimanale negli Stati Uniti. Il giornale prende nome da uno dei primi simboli nazionali usati per denotare gli americani, poi sostituiti da “Zio Sam”. Ndr.

3 È il «Boston Notion», settimanale che pubblicò dal 28 settembre 1839 al 23 aprile 1842. Ndr.

4 Edgar Allan Poe, Epistolario, Longanesi, 1955, p. 222. Idem per la lettera successiva, p. 239. Ndr.

5 Poe qui intendeva “Writers” per “Authors”. The Prose Authors of America, la precedente The Poets and Poetry of England e The Female Poets of America erano raccolte curate da Griswold. Ndr.

6 Refuso di Poe. È George B. Zieber (Pottstown, Montgomery County, Pennsylvania, 1810 – Washingtonville, Orange County, New York, 9 giugno 1894), agente letterario ed editore. Ndr.

7 La casa editrice Burgess & Stringer. Ndr.

8 Qui sonnambulo significa una persona in trance mesmerica. Una delle fonti di Poe sul mesmerismo fu Facts in Mesmerism (Harper edition, New York, 1841) di Chauncey Hare Townshend, che usò l’espressione sleepwaking, «sulla base del fatto che il sonnambulismo, in senso stretto, non era sempre, né necessariamente, un complemento della condizione che desideravo descrivere».

9 Tutti i testi autorizzati scrivono il nome in questo modo, anche se la maggior parte dei nomi olandesi di New York con il prefisso “van” mantengono la forma di due parole: Van Cortlandt, Van Rensselaer.

10 Victor Cousin (1792-1867), filosofo eclettico francese, brillante traduttore di Platone, liberale, attivo nella riforma dell’istruzione, esercitò un’ampia influenza sia attraverso le sue conferenze che attraverso i suoi scritti, in particolare, forse, dal punto di vista di Poe, i suoi importanti Fragments philosophiques (1826) e il suo Cours de philosophie professé … pendente l’année 1818 … sur le fondement des idées absolues du vrai, du beau, et du bien (1836; molte edizioni successive). Sebbene Poe abbia fatto poche menzioni di Cousin nei suoi scritti, il significato della sua menzione qui può essere suggerito dal suo riferimento quasi contemporaneo (nella recensione di “Orion” di Horne – Graham, marzo 1844) a «quel divino sesto senso che è ancora così debolmente compreso” – quel senso che la frenologia ha tentato di incorporare nel suo organo dell’idealità – quel senso che è alla base di tutti i sogni di Cousin – quel senso che parla di Dio attraverso il suo attributo più puro, se non il suo unico – che prova, e che solo prova la sua esistenza.»

11 Orestes A. Brownson (1803-1876), intellettuale, attivista, predicatore, organizzatore sindacale e noto convertito e scrittore cattolico. L’opera menzionata è il Charles Elwood, or the Infidel Converted (1840), un romanzo semi-autobiografico. Poe si riferisce a Brownson nella sua serie Autography, definendolo «un uomo straordinario», sebbene «non sia riuscito del tutto a convincersi di quelle importanti verità che è così ansioso di imprimere nei suoi lettori».

12 Confusa allusione all’opera shakespeariana La tempesta, Atto II, scena I: «La fine della sua repubblica si dimentica del principio!». È Antonio a pronunciare la frase, ma nei confronti di Gonzalo, non di Trinculo. Poe ripete l’errore nella biografia di Miss Sedgwick apparsa nei Literati (Godey’s, settembre 1846) e in Marginalia, numero 273 ((SLM, luglio 1849).

13 Genesi 1:1: “In principio Dio creò il cielo e la terra”.

14 Giovanni 4:24: “Dio è Spirito…”.

15 “Imparticolata” è forma parasintetica che traduce l’inglese unparticled. Ndr.

16 Le riflessioni sulla natura di Dio, l’immaterialità e la materia particolata e non particolata furono discusse brevemente nelle lettere di Poe del 2 luglio a Lowell e del 10 luglio a Chivers, e dovevano essere elaborate nel 1848 in Eureka.

17 Questo paragrafo e quello successivo furono aggiunti nella raccolta Tales nel 1845.

18 Idem come sopra.

19 Letter. per guanciale. Ndr.

20 La versione originale della storia finiva qui. Le tre frasi successive potrebbero essere state aggiunte come un’altra delle concessioni di Poe al lettore incredulo.

21 Poe si riferì ad Azrael, l’angelo della morte maomettano, anche nella prima versione di “Metzengerstein”, in Poliziano, IX, 4 e in “Ligeia”.

Fonti

  • Edgar Allan Poe, Racconti curiosi e grotteschi, STEN editrice, Torino, 1924
  • Edgar Allan Poe — “Mesmeric Revelation”, Edgar Allan Poe Society of Baltimore
  • Edgar Allan Poe, Epistolario, Longanesi, 1955
  • “Boston Notion ([Boston, Mass.]) 1839-1842”, Library of Congress
  • “Brother Jonathan”, The Walt Whitman Archive
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Scrivo testi per il web e correggo bozze di manoscritti. Scrivo anche sul mio blog «Penna blu» e sull’aerosito ufficiale di F.T. Marinetti.

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