Mentre mi sforzo di comprendere, nella prima parte, la dissertazione sulla frenologia, mi chiedo se un preambolo del genere sia puro sfogo teorico. Ma nutro un sospetto: che la dottrina sia strumentale alla narrazione. Quindi resisto e proseguo.
Poi leggendo “siamo ritti sull’orlo di un precipizio, guardiamo giù nell’abisso … il primo impulso è quello di sfuggire al pericolo, ma inspiegabilmente resistiamo”, comincio a capire.
Infatti, dopo quella che sembra essere soltanto una dotta dissertazione, il racconto deflagra. Con uno “splendido”(!) delitto. Il corpo del reato? Una candela che, consumandosi in una stanza mal areata, avvelena la vittima. L’omicida vive per anni beneficiando dell’eredità: una rendita acquisita grazie a un delitto impunito. Se non fosse per una crepa, che squarcia la perfezione dell’architettura maligna: il massimo della perversione, ossia confessare un delitto perverso!
Lo legga chiunque per qualsiasi motivo sia interessato (o addirittura attratto?) dalla filosofia della perversione.
Il massimo della narrativa,non posso dire nient’altro..
Concordo Matt. Come credo di aver lasciato intendere nel mio commento.
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