L’eredità letteraria di Edgar Allan Poe

Quando si parla di Edgar Allan Poe, il pensiero corre ai suoi racconti dell’orrore o alle inquietanti poesie come “Il corvo”, eppure la carriera letteraria di Poe è stata molto variegata.

I suoi racconti del terrore hanno lasciato un segno inconfondibile nella letteratura americana – tanto da aver influenzato il teatro e il cinema, la musica, la televisione e i fumetti – oscurando gran parte della sua produzione letteraria.

Quasi nessuno ricorda le sue recensioni critiche, che da una parte aumentarono vendite e tirature delle riviste letterarie in cui lavorò e dall’altra gli valsero un buon numero di detrattori.

Parlare di Poe unicamente riferendosi alle sue storie dell’orrore significa dare, e rafforzare, una visione ristretta e fuorviante sia dell’intera sua opera letteraria sia delle sue tante passioni.

L’opera omnia di E.A. Poe

Non è possibile – almeno per ora e forse non lo sarà mai – pubblicare l’opera omnia di Poe, e per vari motivi:

  • Poe pubblicò la maggior parte dei suoi scritti – poesie, racconti, recensioni, critica letteraria, articoli, saggi, ecc. – su riviste e giornali, molti dei quali ormai molto rari o andati completamente perduti.
  • Poe pubblicò molti suoi scritti, specialmente i testi editoriali, in forma anonima, dunque è impossibile identificarli.
  • Aggiungiamo anche che alcuni testi furono firmati con pseudonimi (anche se alcuni di questi sono noti) o con sigle, e non solo la riconoscibile “E.A.P.”, ma anche semplicemente P. In passato alcuni di questi scritti sono stati erroneamente attribuiti a Poe, ma è sempre un lavoro complicato e controverso e comporta lunghi tempi riuscire a stabilirne la paternità.

Perché Poe è considerato il Maestro dell’orrore?

Possiamo dare alla questione una risposta semplicistica.

Stephen King è considerato uno scrittore di storie dell’orrore, pur avendo scritto anche altro (polizieschi, fantasy e fantascienza). Il suo primo romanzo, Carrie (Carrie, 1974), fu una storia dell’orrore, e così anche il secondo, Le notti di Salem (Salem’s Lot, 1975), e il terzo, Shining (The Shining, 1977).

Forte anche del successo di Carrie, amplificato dalla trasposizione al cinema grazie al regista Brian De Palma, a King è rimasta quell’etichetta.

Edgar Allan Poe è considerato il Maestro dell’orrore, pur avendo scritto anche altro (polizieschi, fantasy, fantascienza, racconti umoristici e satirici, poesie, ecc.). Il suo primo racconto, “Metzengerstein” (“Metzengerstein”, 1832), fu una storia dell’orrore, anche se i successivi furono umoristici e non tornò all’orrore se non due anni più tardi.

Ma forse una risposta più appropriata alla questione proviene dall’analisi delle storie di Poe.

Il simbolismo

Poe faceva uso di immagini allegoriche (per esempio nei racconti “La mascherata della Morte Rossa”, “Il gatto nero” o “La caduta della casa degli Usher”). La maggior parte dei simboli che Poe ha utilizzato nelle sue opere è collegata al tema della morte e del dolore, eventi ben presenti nella sua vita.

Nel racconto “La caduta della casa degli Usher” il simbolismo è evidente fin dal titolo: crollo della casa come edificio, ma anche la caduta della famiglia Usher, che scompare dalla scena.

L’orrore come parte dell’animo umano

È un orrore psicologico quello mostrato da Poe, un orrore che si trova all’interno dell’uomo, non proviene da entità soprannaturali. È un orrore, un male, tutto umano, quindi forse più spaventoso, perché alla portata di tutti, reale.

I racconti di Poe sono agghiaccianti perché non offrono ai lettori il conforto di attribuire l’orrore a forze o creature ultraterrene, ma ci rivelano che i veri mostri, il male più forte, vivono negli angoli più oscuri delle nostre menti, pronti a uscire allo scoperto.

Il linguaggio descrittivo

Un espediente utilizzato da Poe è la descrizione vivida delle scene, con un’abbondanza, del tutto non fastidiosa, di immagini che evocano solitudine, angoscia, disfacimento e morte. Basti leggere l’incipit della “Caduta della casa degli Usher”, in cui sono state evidenziate simili “parole immaginifiche”:

Durante tutta una buia giornata, mesta e silenziosa, dell’autunno dell’anno, in cui nuvole gravi e basse coprivano il cielo, io aveva attraversato, solo e a cavallo, una parte di un paese eccezionalmente triste; e alla fine, quando stavano per cadere le ombre della sera, mi ritrovai in vista della malinconica Casa degli Usher. Non so come fosse, ma, alla prima occhiata sull’edifizio, sentii riempirmi l’animo d’insopportabile mestizia; dico insopportabile, perché questo sentimento non era mitigato da nessuna di quelle ideali dolcezze poetiche colle quali la mente per il solito riceve le più severe naturali immagini delle cose desolate o terribili. Guardai ciò che mi stava dinanzi, il castello soltanto e in complesso quello che gli era d’intorno: i muri squallidi; le finestre come occhi spenti; pochi cespi di giunco; pochi tronchi bianchi di alberi risecchiti; e provai quel grave abbattimento dell’anima a cui, fra le sensazioni umane, non posso trovare migliore confronto che lo svegliarsi dell’appassionato mangiatore d’oppio, il suo doloroso ritorno alla vita quotidiana, l’orribile cadere del velo. Era un ghiaccio, un venir meno, un male al cuore, un’invincibile tristezza del pensiero che nessun pungolo della immaginazione poteva rivolgere a nulla di alto. Che cosa era — mi fermai a pensare — che cosa era mai ciò che mi abbatteva contemplando la Casa degli Usher? Era un mistero del tutto impenetrabile; non potevo combattere i pensieri tenebrosi che mentre riflettevo si accumulavano dentro di me;

Buia, mesta e silenziosa, autunno, nuvole, triste, ombre, malinconica, mestizia, desolate e terribili, muri squallidi, occhi spenti, alberi rinsecchiti, grave abbattimento, doloroso, orribile, ghiaccio, male, tristezza, mistero, tenebrosi: sono i colori per dipingere un quadro inquietante, per insinuare nella mente dei lettori l’angoscia. Sono termini ben dosati, affinché possano penetrare meglio e più a fondo, conferendo allo stesso tempo alla storia un senso realistico.

La narrazione in prima persona

Grazie alla tecnica dell’io narrante i lettori riescono a immedesimarsi meglio nelle atmosfere descritte. Il narratore ricrea la sua esperienza, rendendo così partecipi della sua storia, della sua avventura, delle sue stesse paure e dei suoi stessi mali i lettori.

L’ambientazione delle storie

Spesso le storie di Poe sono ambientate in un passato lontano o in luoghi sconosciuti, non negli Stati Uniti. Questo permette di scrivere storie con scene non riconoscibili ai lettori, aumentandone quindi la sensazione di estraneità.

Al di là delle storie del terrore

Nonostante la mole e la varietà dei suoi scritti, Edgar Allan Poe è oggi considerato il padre della narrativa poliziesca moderna, ma soprattutto l’autore che ha dato un impareggiabile contributo alla letteratura dell’orrore e della fantascienza.

Il nome completo “Edgar Allan Poe” – dal ritmo orecchiabile, ma non anagraficamente corretto, poiché non fu mai adottato da John Allan – rimanda all’orrore, al terrore, al macabro, al mistero, all’inquietudine, per via dei racconti che, più di altri, hanno destato stupore, meraviglia, consensi.

Daniele Imperi 691 Articoli
Scrivo testi per il web e correggo bozze di manoscritti. Scrivo anche sul mio blog «Penna blu» e sull’aerosito ufficiale di F.T. Marinetti.

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