L’estetica del terrore è intrinsecamente connessa a quella della bellezza. Non si ha forse paura di un viso troppo amato? Ne sapeva qualcosa, o tutto, Edgar Allan Poe, innamorato di Virginia Clemm al punto di trasfigurarla nell’immortale icona di Annabel Lee. Una lirica destinata a imprimersi per sempre nell’immaginario angloamericano.
Edgar Allan Poe nasceva a Boston, Massachusetts, il 19 gennaio 1809, per morire a Baltimora, Maryland, il 7 ottobre 1849. Una parabola, la sua, durata solo quarant’anni. Ma decisiva nel segnare, condizionare, forgiare le forme più estreme della scrittura, dalla narrazione alla poesia, dal saggio alla dissertazione sociologica, fino alla semiotica. Nella Filosofia della composizione, che risale al 1846, infatti, Poe dà uno dei primi esempi di smontaggio dell’opera dall’interno. Come sarebbe piaciuto oltre un secolo dopo agli strutturalisti francesi. Prima di loro e di Saussure, Poe andava alle origini dell’atto creativo, sviscerandone il gioco motivazionale, a partire dalla misura scelta, quella poetica: «È superfluo dimostrare che una poesia è tale solo in quanto eccita l’animo elevandolo, e tutti i moti del genere devono essere necessariamente brevi, non foss’altro che per una necessità fisica». Di qui a procedere verso la «ricerca di un effetto», che Poe ottiene con l’avverbio iscritto negli annali letterari di ogni latitudine, Nevermore, mai più, l’invocazione finale di ogni stanza de Il corvo.
Difficile riconoscere nell’autentica figura dell’intellettuale poliedrico di puro stampo New England il fornitore ufficiale di trame horror per Roger Corman, che portò sullo schermo l’epopea inquieta dei racconti di Poe, adombrato, forse, nei tratti cesellati di Vincent Price, con la galleria femminile, in primis Ligeia, e le architetture gotiche de La caduta della Casa Usher. Quest’ultima fu ripresa sul filo raffinatissimo dell’omaggio d’autore da Ray Bradbury. Nelle Cronache Marziane, un miliardario fa costruire sul pianeta rosso il perfetto parco tematico ispirato a Poe. L’intento è quello di una beffa crudele, che però si risolve in tragedia. Proprio come in un prodotto originale, La botte dell’Amontillado. Il racconto di Bradbury è intitolato Usher II.
Naturalmente, a Poe devono se stessi tre grandi nomi della prosa più intinta di indicibile e inesplicabile. Il primo è Howard Phillips Lovecraft, il solitario di Providence, Rhode Island. I suoi miti di Chtulu non appartengono all’ambito della fantascienza, come si è voluto far credere per troppo tempo. Lovecraft esplora, sulla scia di Poe, una zona che trascende i confini della realtà e sfora i limiti dell’intelletto. Non a caso, vi ha trovato materia d’indagine Michel Houellebecq, che a Lovecraft ha dedicato un imperdibile libretto.
Percorso analogo a quello del secondo illustre seguace di Poe, Stephen King. Lo stile tutt’altro che intarsiato dello scrittore di Bangor, Maine, deve alle suggestioni europee del modello di derivazione più di quanto non possano vedere i milioni di lettori che fanno di ogni suo romanzo un successo in libreria. Anche i protagonisti di King si incamminano sulle stesse vie perigliose di quelli narrati da Poe e Lovecraft. Soprattutto i ragazzi, quelli di It, di Stand by Me-Ricordo di un’estate e Cuori in Atlantide. In loro vive quel focolaio di inquietudine che si alimentò in Poe fino a distruggerlo di delirium tremens per le strade di Baltimora, con le modalità di una dipartita ancora tutta da svelare.
C’è poi un nome non troppo celebre in Italia, ma altrettanto debitore ai racconti del mistero. È Peter Straub, che con King ha firmato alcuni romanzi non del tutto circoscrivibili nel novero delle trovate editoriali. A lui si deve Ghost Story, il più ammirevole esempio di racconto di fantasmi aggiornato all’età contemporanea.
Poe, tuttavia, fu precursore di ben altro. Gli si attribuisce un ruolo fondamentale nel favorire il passaggio della letteratura fantastica verso gli attributi e le caratteristiche dell’odierna fantascienza. Immaginò un volo sulla Luna in L’impareggiabile avventura di Hans Pfaal, la catastrofe ecologica in Il colloquio di Monos e Una, l’impatto di una cometa che distrugge la Terra in La conversazione di Eiros e Charmion, perfino il viaggio nel tempo, tema di Un racconto delle Ragged Mountain. Con oltre una decade di anticipo sul primo “viaggio straordinario” di Jules Verne, Cinque settimane in pallone, Poe evoca nelle sue pagine quel superamento della realtà attraverso metodi e strumenti plausibili, che saranno gli esiti più mirabolanti della rivoluzione industriale.
Ne terrà conto Herbert George Wells. Quest’ultimo, più di Verne, carpirà a Poe l’impostazione profondamente speculativa degli scientific romances. Sia per l’americano che per l’inglese, l’essenza dell’anticipazione non sta nella mera trovata tecnica, come accadeva per Verne, quanto nell’influenza che se ne avrà sulla natura degli uomini e delle cose.
Criterio che Poe applicherà anche a un altro genere narrativo di cui è decano: il giallo deduttivo. Il suo Cavaliere Auguste Dupin fa da autentico stampo per Sherlock Holmes. A differenza del quale, non delimita le sue esibizioni di intelligenza nell’ambito del rapporto causa-effetto. Dupin è un osservatore, sì, ma anche un saggio. Lo rivela in I delitti della Rue Morgue, dove scopre che l’assassino è un orango a partire dall’assoluta mancanza di umanità dello scempio con cui deve confrontarsi. Le categorie di Dupin, dunque, travalicano la cruda logica di Holmes. Sir Arthur Conan Doyle prova a capovolgere questo assunto, facendo tacciare di freddezza matematica il personaggio di Poe dal suo investigatore privato di Baker Street.
Al di là delle primogeniture, comunque, il contorno dell’autore americano aleggia sulla cultura più avanzata del vecchio continente. Se Charles Baudelaire considerava gli Stati Uniti “una grande barbarie illuminata a gas” non mancò di riconoscere il genio di Poe, che tradusse, decretandone l’affermazione di qua dall’Atlantico. I ritratti femminili, dei racconti e delle poesie, compongono una pinacoteca di rarefatte personalità non certo confinabili alla mera contemplazione. Edgar Allan Poe seppe portarne allo scoperto i meccanismi di personalità composite, anticipatrici delle incognite che fanno la contemporaneità. E lo stesso vale per tutti i suoi personaggi, tra i quali campeggia quell’Arthur Gordon Pym che, nella sfinge dei ghiacci, contempla forse una riproduzione del volto indecifrabile dello stesso scrittore.
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