Mattino sul Wissahiccon

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Anche se non sono pervenute bozze manoscritte del racconto, probabilmente “Morning on the Wissahiccon” è stato composto all’inizio del 1841. Una bella copia del testo fu inviata da Poe nella primavera del 1843 agli editori della rivista «The Opal: A Pure Gift for the Holy Days», il cui manoscritto è andato forse distrutto durante il processo di impaginazione.

In una lettera a James Russell Lowell del 28 maggio 1844, Poe cambiò il titolo del racconto in “The Elk” (L’alce):

Qui accluso vi mando una Vita scritta un po’ di tempo addietro da Hirst, con materia fornita principalmente da Thomas e dal signor T.W. White. In gran parte è corretta, credo (tolti gli elogi stravaganti), e ne potete scegliere ciò che vi aggrada. Il limite è sei pagine di Graham, o meno se volete. Oltre ai Racconti elencati nella nota, ho scritto Gli occhiali, La cassa oblunga, Racconto dei monti Straccioni1 [sic], La sepoltura prematura, La lettera sottratta, Il sistema del dottor Catrame e del professor Piuma, Il gatto nero, L’alce, La truffa considerata come una delle scienze esatte, Rivelazione mesmerica, Lo scarabeo d’oro, Sei stato tu: circa sessanta in tutto, compreso i Racconti grotteschi e arabeschi. Alcuni non sono ancora pubblicati, sono in mano di diversi editori.2

Il racconto fu comunque ristampato con il titolo originario “Morning on the Wissahiccon” l’8 maggio 1887 sull’«Albany Sunday Express», un giornale di Albany, New York; mentre in The Works of Edgar Allan Poe, vol. 2: Tales (G. E. Woodberry and E. C. Stedman, Chicago, 1894) il racconto comparve con il titolo “The Elk”.

Le prime traduzioni

La prima traduzione, in francese, del racconto, a opera di M.D. Calvocoressi, comparve col il titolo “L‘Elan (Matinée sur le Wissahiccon)” il 16 febbraio 1911 sul periodico «Le Mercure de France» di Parigi. Dunque in francese il racconto fu pubblicato con il doppio titolo.

Da notare l’uso del sostantivo femminile Matinée, che si riferisce all’intero periodo della mattina fino al pomeriggio. In una successiva traduzione francese, di Léon Lemonnier, apparsa nel 1950 sul volume Histories grotesques et sérieuse par Edgar Poe, il titolo diventa “Matin sur le Wissahiccon”, dove il sostantivo maschile Matin si riferisce alla prima parte della giornata, prima di mezzogiorno.

La presente traduzione italiana si deve a Maria Gallone, pubblicata inizialmente nel 1949, qui presa dal volume Racconti dell’impossibile (Biblioteca Universale Rizzoli, 1957).

Le note, dove non indicato, sono prese da Edgar Allan Poe (ed. T.O. Mabbott), “Morning on the Wissahiccon (The Elk),” The Collected Works of Edgar Allan Poe — Vol. III: Tales and Sketches (1978).

Mattino sul Wissahiccon

Lo scenario naturale d’America è stato spesso raffrontato sia nei suoi aspetti generali che in quelli particolari coi paesaggi del Vecchio Continente, e più specialmente d’Europa, suscitando tra i sostenitori delle varie regioni, oltre a un profondo entusiasmo, vivaci dissensi; né si tratta di una controversia destinata a concludersi molto presto, poiché per quante cose siano state dette da ambo le parti, infinite ancora ne restano da dire.

I più eminenti tra i turisti inglesi che abbiano tentato un paragone sembrano ritenere degne d’interesse, se non di tutto il continente americano, perlomeno di tutti gli Stati Uniti, soltanto le nostre fasce costiere settentrionale e orientale. Parlano poco – perché hanno veduto meno – degli splendidi panorami di alcune zone occidentali e meridionali dell’interno, della maestosa vallata della Luisiana, per esempio, che sembra l’attuazione in terra di un inverosimile sogno di paradiso. Per la maggior parte, questi viaggiatori si accontentano di andare a dare una rapida occhiata ai «pezzi forti» naturali del paese: l’Hudson, il Niagara, i Catskills, l’Harper’s Ferry, i laghi newyorchesi, l’Ohio, le praterie, il Mississippi. Si tratta in verità di luoghi tutti degni di ammirazione anche da parte di colui che già conosce il turrito scenario renano o ha di recente vagato

presso l’impeto azzurro dello sfrecciante Rodano;3

ma non sono i soli dei quali ci possiamo vantare, e giungerò anzi ad affermare che esistono, entro i confini degli Stati Uniti, innumerevoli angolini tranquilli, ignorati, inesplorati quasi, che l’artista vero o il colto innamorato delle più grandiose e belle tra le opere di Dio preferirà a tutti indistintamente gli scenari meglio conosciuti e decantati cui ho accennato.

Infatti, i veri paradisi terrestri di questa nostra terra se ne stanno appartati, inaccessibili anche per il più audace dei camminatori, e perciò ancora più irraggiungibili dal forestiero che dopo aver firmato un contratto col proprio editore per fornire un certo numero di articoli sull’America, da presentare entro un determinato periodo di tempo, non può far altro, per mantener fede agli impegni presi, che percorrere a rotta di collo, taccuino alla mano, le più battute e più sfruttate contrade del paese!

Ho testé menzionato la vallata della Luisiana4. Di tutte le grandi estensioni ove alligna la bellezza naturale questa è forse la più bella. Nessuna fantasia si è mai avvicinata a tanto, e anche la più esuberante delle immaginazioni potrebbe trarre ispirati motivi dalla sua lussureggiante bellezza, perché la bellezza è, invero, la sola sua caratteristica, ché essa offre poco, o per meglio dire nulla, di sublime. Dolci ondulazioni del terreno solcate da fiumi incredibilmente cristallini le cui rive sono tutte un fiore, uno sfondo di vegetazione boscosa gigantesca, lucente, multicolore, animata da uccelli variopinti, profumatissima, sono gli aspetti che fanno della valle della Luisiana uno degli scenari più incantevoli della terra.

Ma anche di questa regione maravigliosa i tratti più belli sono raggiunti soltanto da sentieri secondari. Del resto in America, in genere, il viaggiatore che voglia ammirare i paesaggi migliori non deve cercarli né con la ferrovia, né col battello, né con la diligenza, neppure con la propria carrozza privata e nemmeno a cavallo, bensì a piedi. Deve camminare, deve superare burroni, arrischiare il collo scavalcando precipizi, o altrimenti rassegnarsi a lasciare non vedute le maraviglie più vere, più grandiose, più indescrivibilmente perfette del paese.

Ora nella maggior parte d’Europa tale necessità non esiste. In Inghilterra poi non esiste affatto. Laggiù anche il turista più pigro e più azzimato può visitare ogni angolo degno di nota senza correre il pericolo di strapparsi le calze di seta, tanto sono compiutamente conosciuti i luoghi di maggiore interesse, e tanto comodi i mezzi per raggiungerli. A questa considerazione non è mai stato dato il giusto peso, nei raffronti che si sono fatti tra i panorami del Vecchio e quelli del Nuovo Continente. La bellezza dei primi è accostata a quella dei più noti tra i secondi soltanto, che non sono affatto i più meritevoli di ammirazione.

Lo scenario fluviale racchiude indiscutibilmente entro di sé tutti i principali elementi del bello e da tempo immemorabile è stato il tema preferito dai poeti. Ma gran parte della sua fama è da attribuirsi al fatto che le zone fluviali sono assai più facili a percorrersi che non quelle montagnose. Appunto perché in tutti i paesi i grandi fiumi sono di solito importantissime arterie di traffico essi sono stati da per tutto oggetto sempre di ingiustificata ammirazione. Sono più osservati e se ne parla perciò più spesso che non dei corsi d’acqua secondari, ma non per questo meno interessanti.

Un singolare esempio di tale mia affermazione si può trovare nel Wissahiccon5, un ruscello (poiché più d’un ruscello non è) che si riversa nello Schuylkill6, a circa dieci chilometri da Philadelphia. Ora il Wissahiccon è un rivo di così compiuta bellezza che se scorresse in Inghilterra ispirerebbe la fantasia di qualsiasi cantore e tutti ne parlerebbero, a meno che già non si fosse pensato a dividere le sue rive in mille fette da vendersi, a prezzi esorbitanti, come terreni da costruzione perché i ricchi possano erigervi le loro ville sfarzose. Eppure è appena qualche anno che s’incomincia a parlare, e da pochi soltanto, del Wissahiccon, mentre il corso d’acqua più imponente e navigabile entro il quale esso si riversa è stato decantato come uno tra gli esempi più belli dei grandi fiumi americani. Lo Schuylkill, le cui bellezze sono state molto esagerate, e le cui rive, almeno nei pressi di Philadelphia, sono acquitrinose, come quelle del Delaware, non è affatto paragonabile, quale oggetto d’interesse pittoresco, col ben più umile fiumicello di cui stiamo parlando.

Solo dopo che Fanny Kemble7, nel suo spassoso libro8 sugli Stati Uniti, ebbe rivelato agli abitanti di Philadelphia l’incantata bellezza di un rivo che scorreva quasi davanti all’uscio di casa loro, tale recondita bellezza incominciò a suscitare la curiosità di qualche avventuroso camminatore dei dintorni. Ora però che il Journal aveva aperto gli occhi a tutti, il Wissahiccon prese a godere, sino a un certo punto, di una discreta fama. Ripeto, «sino a un certo punto», perché in realtà la vera bellezza di quel corso d’acqua si trova molto più in là delle strade battute dai cacciatori philadelphiani del pittoresco, i quali di rado si spingono a più di due o tre chilometri oltre la foce del fiumicello… per l’ottima ragione che in quel punto la strada carrozzabile si ferma.

Vorrei consigliare all’avventuroso esploratore fermamente deciso ad ammirarne gli aspetti più belli di prendere la Ridge Road che si diparte dal confine occidentale della città e dopo aver raggiunto il secondo viottolo oltre la sesta pietra miliare di seguirlo sino al suo termine. Arriverà così al Wissahiccon nel punto più interessante, poi a bordo di una canoa, o inerpicandosi lungo le rive può risalirlo o ridiscenderlo, come meglio gli suggerirà la fantasia, e sia nell’una che nell’altra direzione troverà adeguata ricompensa alla sua fatica.

Ho già detto, o dovrei aver detto, che il rivo è angusto. Le sue sponde sono quasi in ogni tratto scoscese, formate di alte colline ricoperte in basso da una splendida vegetazione arborescente, e a mano a mano che il terreno sale, spiccano tra questa alcuni tra i più splendidi esemplari della foresta americana, primo fra tutti il Liriodendron Tulipiferum9.

Tuttavia nel tratto più vicino all’acqua le rive sono di granito, nitidamente levigato oppure tappezzato di muschio, contro cui l’acqua tersissima, nel suo lento fluire, sciacqua e sciaborda come fanno le onde del Mediterraneo contro i gradini marmorei degli antichi palazzi. Di tanto in tanto, di fronte alle rocce, si stende un piccolo pianoro dai confini nettamente delimitati, sofficemente erboso, che potrebbe divenire un luogo ideale per costruirvi un villino e un giardino, incantevoli entrambi. I meandri del fiume sono numerosi e bruschi, come spesso accade quando le rive sono scoscese, cosicché l’impressione che ne trae il viaggiatore, procedendo, è quella di un infinito susseguirsi di mille piccoli laghi, o per essere più esatti, di stagni.

Tuttavia non bisognerebbe visitare il Wissahiccon, come il «vago Melrose»10 di notte, o anche soltanto con tempo nuvoloso, bensì nella radiosità del primo meriggio, poiché la strettissima gola entro il quale scorre, l’altezza delle colline sui due lati e la densità del fogliame si uniscono a creare un senso di malinconia, se non proprio di tristezza che se non è ravvivato da una luce smagliante, diffusa, toglie molto alla compiuta bellezza dello scenario.

Non molto tempo fa, visitai io stesso questo fiume seguendo il cammino testé descritto e trascorrendo la maggior parte di una giornata torrida a cullarmi sulle sue acque a bordo di un fragile schifo11. A poco a poco però l’afa mi sopraffece, e abbandonandomi all’influsso del paesaggio e del tempo, nonché al dolce dondolio della corrente, caddi preda di una strana sonnolenza, durante la quale la mia immaginazione si sfrenò in visioni che rievocavano il Wissahiccon di tempi remoti, «dei bei tempi del passato», allorché il Dèmone Motore12 non era ancora apparso, quando le colazioni al sacco non esistevano, quando i «diritti delle acque» non si comperavano né si vendevano e il pellerossa si aggirava solo, in compagnia dell’alce, sui contrafforti che ora vedevo torreggiare sopra il mio capo.

E mentre lentamente queste immagini prendevano forma entro di me, ecco che il pigro rivo mi aveva trasportato al di là del promontorio, proprio di fronte ad un’altra punta distante una cinquantina di metri. Era questa una rupe rocciosa, a strapiombo, che avanzava di parecchio entro il fiume, con un aspetto molto più selvaggio degli altri punti da me sino a quel momento superati13.

Ciò che vidi su quella rupe, pur essendo uno spettacolo assolutamente straordinario, dati soprattutto il luogo e la stagione, a tutta prima non mi stupì, tanto armoniosamente rispondeva alle fantasie che nel dormiveglia mi avevano visitato. Vidi infatti, o credetti di vedere, fermo sull’orlo estremo del precipipio14, il collo teso, le orecchie dritte, in un atteggiamento di profonda mestizia e acuta curiosità insieme, proprio uno di quegli antichissimi e maestosi alci che avevo associati ai pellirosse della mia fantasticheria.

L'alce
Illustrazione di J. G. Chapman, «The Opal: A Pure Gift for the Holy Days», 1844.

Ripeto, per qualche minuto quell’apparizione né mi stupi né mi spaventò. In quei brevi attimi tutta l’anima mia fu presa soltanto da un anelito intensissimo di comprensione. M’immaginai che l’alce piangesse nostalgicamente, oltre che stupire, dei manifesti mutamenti in peggio prodotti nel rivo e nei suoi dintorni, giusto in quei recentissimi anni, dall’avanzata inesorabile del progresso; ma quasi subito un lieve movimento che l’animale fece con la testa scacciò di colpo il mio sognante fantasticare, destando in me un senso compiuto e vigilissimo di novità e di avventura. Mi levai su un ginocchio nell’interno dell’imbarcazione e mentre esitavo, non sapendo se fermarmi o lasciarmi trasportare dalla corrente ancor più accosto, udii proferire in fretta, ma cautamente, da un vicino arbusto, un grido sommesso di richiamo.

Un attimo dopo usciva dal folto un negro, che scostati piano piano i rami, prese ad avanzare senza far rumore. Recava in una mano una manciata di sale e tendendola verso l’alce s’inoltrava sempre più, con passo leggero ma fermo. Il nobile animale, benché fosse trasalito, non tentò di fuggire. Il negro, raggiuntolo, gli diede il sale, parlandogli con voce dolce e incoraggiante. Poco dopo l’alce piegò il capo, batté uno zoccolo contro il terreno e infine si distese, lasciandosi incavezzare mansuetamente.

Così ebbe termine la mia avventura con l’alce. Era un vecchio maschio di tarda età e di abitudini assai domestiche che apparteneva a una famiglia inglese abitante nelle vicinanze15.

1 È “Un racconto delle Ragged Mountain” (A Tale of the Ragged Mountains). Ndr.

2 [111] A James Russell Lowell, New York, 28 maggio 1844, Epistolario, Longanesi, 1955, p. 216.

3 George Gordon Byron, Childe Harold’s Pilgrimage, Canto III, LXXI, 3.

4 La descrizione di Poe della “valle della Louisiana” è probabilmente tratta da un libro, poiché non aveva visitato il luogo.

5 Il Wissahickon, in origine chiamato Wisauksicken e Wisamickon dalla tribù Lenni Lenape della Pennsylvania sud-orientale, fu poi conosciuto con l’attuale nome a partire dalla fine del 1600, ribattezzato dai coloni europei. Il fiume nasce come un piccolo ruscello alimentato dalle sorgenti sotterranee nella contea centrale di Montgomery e attraversa una valle nel Fairmount Park di Filadelfia, prima di entrare nel fiume Schuylkill. Ndr.

6 Fiume che si estende per circa 130 miglia dalla sorgente, a Tuscarora Springs, nella regione del carbone antracite della contea di Schuylkill fino alla confluenza con il fiume Delaware a Filadelfia. Ndr.

7 Frances Anne Kemble (27 novembre 1809 – 15 gennaio 1893), attrice, scrittrice e abolizionista britannica, pubblicò opere teatrali, poesie, volumi di memorie e scritti di viaggio. Ndr.

8 Frances Anne Butler, Journal, Carey, Lea & Blanchard, Philadelphia, 1835. Ndr.

9 Poe dà il nome scientifico dell’albero dei tulipani non come nei libri di storia naturale (Liriodendron tulipifera), ma in un latino più corretto poiché “dendron” è neutro. Gli piacevano questi alberi enormi; ne scrisse uno ne “Il villino di Landor”; e ne ha persino posizionato uno, in modo del tutto errato, vicino all’isola di Sullivan ne “Lo scarabeo d’oro”.

10 Walter Scott, The Lay of the Last Minstrel, Canto Secondo, 1-2: If thou would’st view fair Melrose aright, / Go visit it by the pale moon-light;

11 Tipo di imbarcazione. Ndr.

12 Probabile riferimento alla locomotiva. Ndr.

13 Traduzione libera. Nell’originale è It was a steep rockly cliff, abutting far into the stream, and presenting much more of the Salvator character than any portion of the shore hitherto passed. Ndr. Il riferimento a Salvator è Salvator Rosa (1615-1673) della scuola napoletana, famoso per aver dipinto scene nelle zone selvagge dell’Appennino. È nominato anche ne “Il villino di Landor”: Proceeding southwardly, the explorer saw, at first, the same class of trees, but less and less lofty and Salvatorish in character. Ndt.

14 Grafia desueta per precipizio. Ndr.

15 Secondo Quinn (Poe, p. 397) nelle vicinanze c’era un vero alce residente. Apparteneva al proprietario di un sanatorio, diretto da Samuel Mason, in una villa chiamata “Spring Bank” che teneva numerosi animali da compagnia per il piacere dei suoi pazienti. Nel maggio 1838 “Spring Bank” fu venduta a George Wilson, un contadino, che a sua volta la vendette nel 1840 al dottor Edward Lowber, anch’egli proprietario di un sanatorio, che probabilmente ereditò l’alce con la proprietà.

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Scrivo testi per il web e correggo bozze di manoscritti. Scrivo anche sul mio blog «Penna blu» e sull’aerosito ufficiale di F.T. Marinetti.

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