Il corvo, versione di Luigi Siciliani

Traduzione del 1910

Era il 29 gennaio 1845, 178 anni fa, quando sul «New York Evening Mirror» apparve la poesia di Poe “The Raven” (Il corvo).

Da allora il componimento poetico più famoso del poeta di Boston ha avuto moltissimi rifacimenti da parte di altri autori, ispirando varie forme d’arte e approdando perfino nel mondo dei cartoni animati.

In occasione di questo compleanno pubblichiamo una versione della poesia a opera di Luigi Siciliani, apparsa, insieme a una prefazione, sul numero 7 della rivista «Il Secolo XX» del luglio 1910, un mensile illustrato pubblicato a partire dal 1902 dall’editore Treves.

Luigi Siciliani (1881 – 1925) era uno scrittore, poeta e traduttore, ma anche un patriota e interventista che combatté nella Prima guerra mondiale. Divenne deputato e fu sottosegretario alle Belle arti.

Prefazione alla poesia “Il corvo”

Edgardo Allan Poe nacque a Boston, negli Stati Uniti d’America, il 19 gennaio 1809, morì il 7 ottobre 1849 a Baltimora. Assai note sono le avventure della sua vita breve, tempestosa e infelice; e diffusissimi, tradotti in quasi tutte le lingue colte, sono i suoi racconti fantastici. Egli può chiamarsi il creatore di una sensibilità nuova: a lui si riannodano, con a capo il Baudelaire, tutti i poeti che esprimono sottili e tormentose sofferenze o narrano racconti dolorosi e visioni piene di mistero, simili ad incubi. Le sue poesie però difficilmente si possono gustare da lettori ignari della lingua inglese, risedendo la loro bellezza, almeno per metà, nella potenza suggestiva del ritmo. Tra esse la più celebre è senza dubbio “Il Corvo”, e fu pubblicata la prima volta nel 1845: il poeta vi esprime tutto il tormento cagionatogli dalla morte di [una] persona amata, nascosta sotto il nome di Leonora1, e il dubbio angoscioso di poterla rivedere in una vita futura. La traduzione che ne offriamo ai lettori conserva quasi sempre la rima e sempre il ritmo degli ottonari trocaici in cui fu scritta. E crediamo che sia il primo tentativo, al pari di quello delle “Campane” (pubblicato dall’«Illustrazione italiana» il 15 agosto del 19082), fatto per mantenere in italiano lo schema metrico dell’originale. La traduzione francese del Mallarmé è in prosa; e la celebre versione fatta in lingua portoghese dal poeta brasiliano Machado de Assis è, più che altro, una parafrasi. Il disegno di Luigi Yobbi che, con tanta vigoria, commenta i versi del Poe, fa parte di una serie di disegni ispirati alle poesie del potente scrittore americano, che furono molto ammirati all’ultima Mostra di Belle Arti a Roma.

Il corvo, versione di Luigi Siciliani

Con le membra stanche e rotte, riflettendo a mezzanotte
Sopra alcuni libri strani d’una scienza antica e morta,
Sonnecchiavo tentennando, quando udii il picchio blando
Come d’uno che bussando stesse sopra la mia porta.
“È un visitatore”, dissi, “ch’ora batte la mia porta —
Solo questo e nulla più”.

Fu nel livido decembre, nettamente mi rammento,
E ogni tizzo disegnava col suo spettro il pavimento.
Sospirando l’alba molto, chiesto aveva il cuor mio stolto
Che dai libri a lui ritolto fosse il pianto d’Eleonora,
Della vergine raggiante detta in Cielo Eleonora —
Senza nome in terra più.

Il frusciare triste, incerto, delle tende porporine
Mi scoteva e mi colmava di terrori senza fine;
Tal che il palpito del cuore per fermare ed il tremore
Dissi: “È un visitatore ch’ora batte la mia porta —
Un visitatore tardo ch’ora batte la mia porta; —
Solo questo e nulla più”.

Forte il cuor mio divenuto, io d’un tratto, risoluto:
“Il perdono”, dissi allora, “o Signore oppur Signora,
Vostro imploro”; ma davvero, sonnecchiando, non udivo
Chiaro il battito leggero della stanza sulla porta,
E dubbioso stavo. Apersi larga quindi la mia porta: —
L’ombra c’era e nulla più.

E nell’ombra allor spiando mi fermai maravigliando,
Tratto in mezzo ad ansii sogni non sognati sino allora,
Ma il silenzio fu immutato, non dall’ombra un segno dato,
E fu sola una parola sussurrata, “Eleonora!”
Io la dissi, e un’eco intorno mormorava: “Eleonora!”
Solo questo e nulla più!

Nella stanza ritornando e nell’anima bruciando,
Tosto udii picchiar di nuovo, ma di prima men leggero.
“Certo”, dissi, “certo è alcuno ch’ora batte la vetrata;
Io veder voglio quest’uno, penetrare tal mistero —
Abbia pace un poco il cuore, penetrando tal mistero; —
Forse è il vento, nulla più”.

Spalancai così le imposte: dopo molti giri e volte,
S’avanzò solenne un Corvo, un dei santi antichi tempi;
Non fe’ cenno di saluto; non ristette un sol minuto;
Ma con piglio risoluto si fermò sulla mia porta —
Sopra un busto di Minerva messo sopra la mia porta —
Quivi stette e nulla più.

E movendo ad un sorriso quell’uccel nero il mio viso,
Col decoro serio e grave che dal suo contegno effonde,
“Benché già sulla tua testa”, dissi a lui, “non porti cresta,
Vil non giungi, orrendo Corvo, della Notte dalle sponde —
Parla, quale è il tuo gran nome della Notte sulle sponde?”
Disse il Corvo allor: “Mai più”.

Mi stupii tal bestia sconcia nell’udir parlare acconcia;
E benché la sua risposta poco senso e peso apporta,
Pure male si concede che umano essere vivente
Si rallegri, quando vede della stanza sulla porta,
Bestia o uccello messo sopra busto sculto sulla porta,
Con un nome tal: “Mai più”.

Ma sedendo allora torvo sopra il bianco busto il Corvo,
Disse sol quella parola, quasi ch’essa tutto esprima.
E nient’altro mormorava — e non penna egli agitava —
Sino a quando io sospirava: “Altri amici di lui prima!
Domani egli partirà, come i sogni miei già prima”.
Disse il Corvo allor: “Mai più”.

Scosso or io dalla risposta molto bene al detto opposta,
“Senza dubbio questa voce sola”, dissi, “ha nel cervello,
E l’apprese da un maestro che a sfuggire non fu destro
La sventura che incalzava, fin che un solo ritornello
Ebbe il canto alla Speranza morta — il triste ritornello
Di “Mai più! mai più! mai più!”

Pur di nuovo ad un sorriso triste fu mosso il mio viso.
Una soffice poltrona pongo a fronte della porta,
Sul velluto mi distendo, cosa a cosa connettendo;
E pensando quell’orrendo Corvo della gente morta —
Quell’austero, rude, magro Corvo della gente morta
Cosa voglia con “Mai più”.

Tutto assorto a meditare, senza sillaba fiatare
Verso il Corvo i cui rossi occhi or m’ardevano nel cuore,
Stetti questo e più pensando, il mio capo reclinando,
Sul cuscino di velluto della lampada al chiarore,
Sul cuscino violetto della lampada al chiarore,
Ch’ella non premerà più.

L’aer parve allor più denso, come se da Serafini
Camminando per la stanza sparso intorno fosse incenso,
E gridai: “Misero, a te manda Iddio gli angeli, a te,
Con la pace e col nepente pel ricordo d’Eleonora!
Bevi, bevi il buon nepente, e dimentica Eleonora!”
Disse il Corvo allor: “Mai più!”

Gli risposi: “Reo flagello! — sii tu demone od uccello! —
T’rabbia spinto la tempesta od il Tentatore oscuro,
Solo ma non sgomentato, in un luogo ammaliato
Dall’Orrore frequentato — dimmi invero ti scongiuro —
C’è un conforto in Paradiso — dimmi, dimmi, ti scongiuro!”
Disse il Corvo allor: “Mai più”.

Gli risposi: “Reo flagello! — sii tu demone od uccello! —
Per il Cielo su noi steso — per il Dio che noi si adora —
Di’ a quest’anima affannata se lontano in Paradiso
La fanciulla angelicata detta in Cielo Eleonora
Stringerà, la vergin santa detta in Cielo Eleonora”.
Disse il Corvo allor: “Mai più”.

“La parola da te udita ci sia segno di partita”,
Gli gridai balzando, “indietro! torna tra la gente morta!
Non lasciare penna o segno d’un mentire tanto indegno!
Ch’io qui resti solo in pace! — lascia il busto sulla porta;
Leva il becco dal mio cuore, la tua forma dalla porta!”
Disse il Corvo allor: “Mai più”.

Ed il Corvo non fu scosso, dal suo posto non s’è mosso
Là sul busto di Minerva messo in sommo della porta;
Ad un demone sognante il suo occhio è somigliante,
E la lampada tremante l’ombra sua sul pavimento
Versa, e il mio cuore dall’ombra sparsa sopra il pavimento
Non si leverà — mai più!

Il corvo - Illustrazione di Luigi Yobbi

1 Nel testo originale è Lenore, diminutivo di Eleonora, come viene infatti tradotto il nome da Siciliani.

2 In realtà la poesia di Poe “Le campane” (The Bells), per la traduzione di Luigi Siciliani, apparve nel n.32 del 9 agosto 1908 dell’«Illustrazione italiana». Il numero successivo, inoltre, uscì il 16 e non il 15 agosto, essendo un settimanale.

Daniele Imperi 691 Articoli
Scrivo testi per il web e correggo bozze di manoscritti. Scrivo anche sul mio blog «Penna blu» e sull’aerosito ufficiale di F.T. Marinetti.

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